Tante persone hanno partecipato sabato 21 maggio all’incontro organizzato dalla lista Civica Senigallia Bene Comune con l’economista Antonino Galloni tenutosi nella sala consiliare del comune di Senigallia.
Chi è Antonino Galloni? Personaggio molto importante (e scomodo) nello scenario economico a livello nazionale e internazionale. Basti pensare che è stato direttore generale del Ministero del Lavoro, funzionario in diversi ministeri finanziari ed è attualmente membro effettivo del Collegio dei sindaci dell’Inps. È stato ricercatore all’università di Berkeley in California, stretto collaboratore di Federico Caffè e ha insegnato nelle università di Roma, Milano, Napoli, Modena e Cassino.
L’incontro si è aperto con un excursus storico delle cause che hanno portato al crollo dei vari modelli economici adottati dal dopoguerra ad oggi ed ha evidenziato il passaggio fondamentale del “divorzio” tra Ministero del Bilancio e Banca d’Italia. Tale “divorzio”, ricorda Galloni, ha comportato un eccessivo aumento dei tassi di interesse, dovuto alla perdita dell’obbligatorietà, da parte della Banca d’Italia, di comprare le emissioni di titoli di stato rimaste invendute sull’asta di mercato. Ciò di conseguenza ha accorciato l’orizzonte temporale delle imprese e aumentato la disoccupazione giovanile e infine ha ridotto gli investimenti in innovazione e tecnologia.
Per togliere ad una classe politica corrotta e clientelare, quella della prima repubblica, lo strumento degli investimenti pubblici, si decise di togliere la sovranità monetaria; il problema qual è? È vero che rubavano, ma oltre a rubare consentivano la creazione di posti di lavoro su cui lucravano; creavano grandi imprese su cui rubavano, ma rubavano sui profitti!
Lo scenario secondo Galloni è articolato.
Politica e poltrone. Nell’attuale situazione si ruba sulle perdite: si licenzia e si ruba; non si fanno investimenti e si ruba; non si è competitivi e si ruba … ciò ha “svuotato di qualità la classe politica”, che essendo chiamata a non gestire niente, non le vengono richieste competenze. L’unica cosa rimasta da gestire sono le poltrone, perché non possono più gestire il futuro del Paese come hanno voluto e deciso con l’euroburocrazia europea per non avere più responsabilità sulle loro azioni.
Tassi di interesse. Fino a quel momento, in Europa c’era in vigore un principio di solidarietà tra i Paesi; tale principio venne meno con la decisione di essere ognuno responsabile della propria economia. Questo ha influito sulla bilancia commerciale peggiorandola per cui, per attirare capitali esteri, fu necessario aumentare i tassi di interesse. L’aumento dei tassi ha comportato, come già descritto sopra, che il debole (classe media, medio bassa e bassa) è divenuto sempre più debole ed il forte (classe ricca) ha aumentato la sua ricchezza.
Arriviamo al 1992 anno in cui l’Italia si impegnò a non cambiare il proprio tasso di cambio e di conseguenza non potendo più lavorare sui tassi di interesse, non restava che ridurre i salari e aumentare la flessibilizzazione del lavoro, per poter equilibrare la bilancia dei pagamenti.
Processo di precarizzazione. Nel momento in cui la flessibilizzazione diventò un obiettivo, invece che un vincolo, fu massimizzata portando alla precarizzazione, causando un grave danno alle imprese stesse, perché se da un lato la diminuzione dei salari riduce i costi dell’impresa, dall’altro diminuisce la domanda da parte dei consumatori che si trovano con meno liquidità: tutto il sistema attuato diminuisce la prospettiva di ripresa dell’impresa e con essa la sua valorizzazione.
In questo scenario, gli investitori istituzionali non comprano più obbligazioni, perchè ricevono un basso rendimento. Per rimediare iniziano a fare operazioni di derivazione, ovvero vendono qualunque cosa e con questa liquidità pagano gli interessi promessi ai sottoscrittori, aspettando la ripresa per uscire da questa situazione iperspeculativa.
Sistema bancario in crisi. La ripresa non c’è stata, e con tali finalità non potrà mai arrivare, ed ecco che nel 2008 le imprese e le famiglie investono meno di quanto le banche devono pagare di interessi sui derivati. Con questa situazione ecco che il sistema bancario salta, dapprima quello Americano e poi quello locale (vedi Banca Marche).
Per salvare il sistema bancario, le banche centrali degli stati (in Europa l’anomalia chiamata BCE) dispongono autorizzazioni monetarie illimitate verso le banche, quando si poteva spendere molto meno autorizzando gli stati a fare spesa in disavanzo, ma questo non è stato deciso, non hanno voluto cambiare gli accordi costituiti.
Ne ricaviamo che le grandi banche stanno controllando gli stati e le banche centrali.
Ma nel 2013 scopriamo che la situazione non è così quando Mario Draghi, ed altri soggetti istituzionali, avvertono le banche che i loro crediti sono per metà inesigibili ed i loro bilanci non sono più sostenibili.
Di fronte a queste affermazioni gli stati non devono più impegnarsi e la BCE i soldi non li fornisce più e quindi per sopravvivere vengono messe le mani nelle tasche dei risparmiatori delle banche: prospettando loro il fallimento bancario. Le banche centrali erano e sono tuttora controllate dalla grande finanza, la quale trae guadagno non dal rendimento delle singole operazioni ma dal numero delle singole operazioni. La grande finanza porta i suoi guadagni nei paradisi fiscali e lascia nel disastro i risparmiatori e le banche. In conclusione o si spezza questa catena, o non c’è scampo perché manca liquidità.
Ciò porta gli stati ad indebitarsi sempre di più, emettendo titoli in cambio di moneta. Stessa cosa per le banche. Tutto l’utile va ad unico beneficio della finanza.
Come se ne esce?
- Ripristinando la differenza tra i soggetti che erogano il credito e le banche che lavorano con la finanza, lasciando così liquidità all’economia reale.
- Revisionando delle regole che tengono insieme l’Euro, nella direzione che sia previsto per gli stati con più disoccupazione di agire in disavanzo. Se non si fa questo, bisogna uscire dall’euro (il che NON equivale obbligatoriamente ad uscire dall’Unione Europea come lo è per la Gran Bretagna e tutti i paesi dell’est Europa che fanno parte dell’UE)
- Occorre rapportarsi, tra stati all’interno della Comunità Europea, creando un nuovo modello di profitto.
Dopo un’attenta dissertazione dell’economista il pubblico ha dato vita ad un ampio dibattito al quale Galloni ha risposto punto per punto soffermandosi in particolar modo sulla situazione italiana e locale.
In Italia, afferma Galloni, abbiamo tante piccole imprese altamente efficienti che non fanno profitto, non nei termini convenzionali; sono imprese in cui il titolare guadagna, molte volte, meno del suo dipendente, ma in cui il profitto è dato nell’affidare a ciascuno un ruolo produttivo nella società, un ruolo in cui si realizza. Questo dà fastidio alle grandi economie, che vorrebbero vedere queste imprese chiuse.
Questo modello di economia reale è completamente alternativo alla economia finanziaria.
Un valido aiuto a questo sistema può essere dato dalle monete complementari, oramai realtà in molte parti d’Italia, d’Europa e del mondo; un sistema che favorisce lo sviluppo dell’economia locale e l’occupazione, perché quella moneta può essere spesa solo sul territorio, arricchendolo e sviluppandolo.
Il surplus prodotto, potrà essere venduto all’estero in euro, ma intanto avremo ottenuto la piena occupazione e lo sviluppo economico del territorio. Ciò che ci perde è ovviamente il risparmio, perché non si potrà accumulare moneta locale, non avendo valore intrinseco. Potrebbe essere addirittura lo stato ad erogare la moneta locale, che potrà avere un valore parallelo all’euro, per poi riassorbirla quando le condizioni lo consentiranno. Se lo stato non lo fa, i cittadini si devono organizzare localmente.
Occorre quindi organizzarsi ed iniziare a lavorare in questa direzione per uscire da una crisi che altrimenti distruggerà le aziende ed ogni nostro risparmio. Se il sistema crolla i nostri risparmi si volatilizzano nel nulla.
Senigallia Bene Comune
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